BOOKS

REFLEX 2016
Christian Reder

PERPLEX 2014
Christian Reder

BARBARENKUNST-
KATALOG 1995

Peter Weibel
Christa Steinle
Mario Erdheim
Agathe Blaser
Robert Schindel


Folder:

FEDERZEICHNUNGEN 2009
Christian Reder

FEATHER MARKS
Christian Reder

DISEGNI DI PIUME
Christian Reder

TABLEAUX DE PLUMES
Christian Reder


TABLEAUX DE PLUMES 2009
Nicole Kunz


Zeitschrift: TRETERRE 2009
Eva Lauterbach


FOLDER: PS 2007
ZUR AB ART(H)
BÉATRICE STÄHLI

Thomas Zaunschirm


WIENER BLUT 1998
(MAK ZEITUNG)

Christa Steinle

FederZeichnungen
Feather Art

MAK | Wien 1998

PS | Pferdestärke

Barbarenkunst

Béatrice Stähli
movie

beatricestaehli@bluewin.ch

Béatrice Stähli
Via alle Vattagne 44
CH-6652 Tegna

T + F
+41 91 780 70 49

BÉATRICE STÄHLI: «QUANDO LAVORO, IO SONO FELICE»

Una conversazione trascritta da Christian Reder e tradotta dal tedesco da Martina Knecht

John Kenneth Galbraith (1908-2006), economista liberale di fama mondiale e consigliere della Casa Bianca, ha riassunto le sue conclusioni sulla “perdita della realtà dell’economia di oggi” osservando che è completamente sbagliato “misurare lo sviluppo della società in base al numero di automobili e televisori, all’offerta di vestiti alla moda e di tutti gli altri beni di consumo, o anche in base al numero di armi letali in circolazione”. Con questa affermazione non priva di sarcasmo, egli rivolge una critica fondamentale alla nostra fissazione stereotipata di valutare i risultati di un lavoro secondo criteri puramente economici, ovvero in termini di “produzione di beni e servizi”, invece di considerare “il livello formativo e l’opera letteraria e artistica” di una società. Il fatto è, sempre secondo Galbraith, che “nella storia dell’umanità le opere straordinarie sono quelle artistiche, letterarie, religiose e scientifiche; opere scaturite da società in cui godevano di grandissima considerazione”. Una conclusione essenziale che sottolinea con veemenza il significato sociale e culturale dell’arte, rimandando direttamente al concetto di vita e lavoro messo in atto con convinzione dall’artista Béatrice Stähli, nella consapevolezza di generare con le sue opere, per vie misteriose e multilaterali, un grande valore aggiunto che, pur non quantificabile in termini monetari, contribuisce a modo suo all’arricchimento della società. Partiamo dall’idea di una “mentalità della ricerca”, come rimarco nei miei saggi sulle opere artistiche, quali le FederZeichnungen (Disegni di piuma) della Stähli, per ampliare lo spettro di lettura dalla semplice mania estetica per includere atteggiamenti, pensieri e processi artistici che fungono da ponte verso le sfere illimitate in cui le persone – spinte dall’inquietudine, dal bisogno, dalla curiosità, dall’incanto dell’allegoria, dal desiderio di riconoscimento e dall’amore per il processo creativo – cercano punti di riferimento per sfuggire all’inesorabile forza dell’abitudine. Per dare voce all’unicità suo lavoro, sarà la stessa Béatrice Stähli a prendere ora la parola, affinché la sua soggettività non passi attraverso il filtro dell’interpretazione quando ci racconta delle motivazioni e dei nessi che sottendono alla sua opera.

Quando ho cominciato a esporre ero già sulla trentina e il cammino che mi aveva portata fino a lì era stato tutto in salita. Per iniziare, ho dovuto assolvere la scuola di commercio con la prospettiva di diventare segretaria, perché una formazione accademica era stata concessa solo ai miei due fratelli. Concluso il triennio, non c’era più ragione per me di sottomettermi a simili limitazioni. Ho viaggiato molto per orientarmi nel mondo e mi sono diplomata alla Scuola professionale di arti applicate “medien-form-farbe” di Zurigo, che era gestita da un manipolo di accademici ribelli. In seguito, e questa fu la svolta decisiva, sono andata alla Universität für Kunst und Design di Colonia come studentessa ospite di Daniel Spörri. Da lui, ho imparato che tutto è possibile e che nel lavoro non devo accettare nessun tipo di limitazioni. Le mie prime opere erano fatte di carta e di pergamena, un materiale molto sensuale che mi ricorda la pelle, la pelle che invecchia. Era già evidente che il punto di partenza del mio lavoro artistico è il corpo e ciò che attraverso di esso si può esperire. Per realizzare le mie opere, ricorro quasi sempre a materia prima liberamente disponibile, includendo i rifiuti, la cui corporeità cattura il mio interesse. Il mio lavoro di diploma a Zurigo consisteva in una serie di grandi stampe fotografiche. Ho conferito un peso e qualità tattili alle immagini applicandole su lastre di alluminio e rafforzandone in tal modo il rapporto con lo spazio. Poi sono passata alle installazioni, per le quali usavo blocchi grezzi di carta da stampante pressata, i cosiddetti bricks. Ogni installazione era unica e irripetibile e direttamente relazionata con lo spazio fisico in cui veniva allestita. Ho radicalizzato questo concetto con le gabbie toraciche rosso sangue, in legno e collage di pergamena. Come sempre, all’origine di questi lavori c’era stata un’esperienza personale. In quel periodo, infatti, mi occupavo di accompagnamento alla morte; avevo assistito persone nel loro ultimo passo e lavato i loro corpi. Ecco perché nelle mie opere appaiono spesso sottili allusioni, per nulla ostentate, al mistero della morte. Nel 1989 mi sono trasferita da Zurigo a Vienna, dove ho vissuto per una dozzina d’anni. Lì ho avuto modo di avvicinarmi all’azionismo viennese e di conoscere Franz West, il cui approccio artistico è per molti versi simile al mio. Il riferimento al mondo animale diventò un tema ricorrente nelle mie opere. Ho iniziato a lavorare con pellicce tese, pellicce di zebra e pelli di serpente, come riflessione critica del nostro rapporto con gli animali. Molte persone amano il loro cane più di ogni altro essere umano. In questo contesto, ho voluto mettere in luce il lato bestiale residuo in entrambi, cane e padrone. Pensando all’incredibile potenziale di rudezza, crudeltà e brutalità della natura umana, che si lascia mitigare solo superficialmente, in molte opere si può trovare un’allusione alla disumanità nei confronti delle costellazioni umane. Raggruppati sotto il titolo Barbarenkunst (Arte barbarica), questi lavori sono stati esposti in diverse gallerie. Peter Weibel li ha presentati nella Neue Galerie di Graz, mentre MAK (il Museo di arte applicata di Vienna) ha acquistato il trittico Wiener Sängerknaben (Voci bianche di Vienna). L’opera, che risale a quell’epoca, è costituita dalle teste impagliate di un pitbull terrier, un dobermann e un rottweiler che digrignano minacciosamente i denti. Io stessa mi sono ripetutamente spaventata alla vista di quei raccapriccianti capoccioni nel mio atelier. Eppure, ho dovuto farlo! Con i lavori di porcellana e stoviglie, ho focalizzato l’attenzione sul divario, sempre più eclatante, tra ricchezza e povertà. Un giorno ho potuto riscattare un servizio di porcellana di epoca feudale, che era appartenuto al Barone Rothschild. L’ho usato per servire una cena a un gruppo di ospiti. Dopo mangiato, ho riconsegnato loro le stoviglie lavate, insieme a un martello appuntito e la preghiera di rompere il proprio piatto in modo da generare dei cocci molto personali. Per finire, ho messo a confronto questi frammenti di lusso distrutto, esposti in scatole di plexiglas, con piatti di latta provenienti da una mensa dei poveri. Ho anche lavorato con frantumi di porcellana fine giapponese, come metafora della fragilità di molte cose. Nelle opere della serie PS (che sta per Pferdestärke ovvero cavalli vapore) ho innestato scampoli di pneumatico di bicicletta o motocicletta sulle poderose mandibole inferiori di cavalli, e stemmi di automobile sulle mandibole superiori, come paradossale metafora della mania della velocità e della mobilità che pervade la società contemporanea, dopo millenni di dipendenza dalla forza del cavallo. Chi possiede qualche nozione storica, potrebbe anche cogliere il riferimento al boom del caucciù in Brasile o in Congo, che con conseguenze letali per la popolazione locale ha fatto la fortuna di alcuni individui. Per riuscire a restare seri, ci vuole anche un po’ di divertimento: le code di cavallo appese che vengono fatte ondeggiare, ballare e sfiorarsi con l’ausilio di tergicristalli, offrono un ironico accenno ai rituali senza tempo dell’imposizione maschile. Invitata da Peter Noever a esporre alla mostra Wiener Blut al MAK di Vienna, ho potuto lavorare per un anno a tre grandi opere. Verführung (Tentazione) è un cubo bianco grande come una casa con sei fenditure rivestite di setole, in cui ruote dentate foderate di pelle di serpente si muovono dentro e fuori. Un lavoro che, nonostante la sua astrazione, rimane per me molto sensuale, perché mette a nudo l’aspetto schematico dell’attrazione erotica. Non avendo potuto ottenere zampe di lipizzano in quanto specie protetta, per Wiener Opernball (Ballo dell’Opera di Vienna) ho usato zampe di cervo rosso, che ho montato, provviste di scarpe da balletto, su eleganti ruote per creare dei mobile fluttuanti. Infine, con Hommage an die Kinderballettschule Wien (Omaggio alla Scuola di balletto infantile di Vienna), un enorme mobile formato da palloni che rinchiudono al loro interno scarpe da balletto, ho tematizzato la civilizzazione come atto permanente di ammaestramento e la perdita della gioia infantile per il gioco. Durante le mie ricerche nel suddetto luogo, ho visto con i miei occhi come bambini in lacrime venivano sistematicamente strigliati. Non a caso, questa mostra veniva inaugurata in concomitanza con il Ballo dell’Opera di Vienna, grande orgoglio nazionale. Dopo l’esposizione, ho avuto modo di uscire un po’ dalla solitudine dell’atelier e fare una bellissima esperienza di gruppo, lavorando per tre mesi all’allestimento della scenografia per Bruchstücke I, II di Samuel Beckett al Konzerthaustheater di Vienna. Un altro punto di svolta fu l’acquisto delle giacenze di piume d’uccello di un negozio di attrezzature sceniche di Vienna. Queste venivano usate fin dagli anni Venti per decorare costumi e cappelli, soprattutto nei teatri e nei locali notturni. Per quanto riguarda l’aspetto morale, posso dire a mia discolpa che le piume risalgono a un’epoca precedente alle odierne leggi sulla protezione delle specie. Con questa acquisizione, in ogni caso, il mio magazzino si è trasformato in una miniera d’oro della memoria delle meraviglie della natura in grave pericolo di estinzione. Potrò attingere a questo prezioso materiale, archiviato con accuratezza in scatole e scatolette, fino alla fine dei miei giorni. Ammetto che mi interessano anche le conchiglie, ma un acquisto in grandi quantitativi avrebbe un costo proibitivo. E allora perché proprio le piume? Penso che la mia attrazione verso la materia di origine animale possa derivare dal fatto che mio padre fosse un vero figlio della natura. Fu lui a spiegarmi tutto sugli uccelli e a insegnarmi a pescare. Da bambina avevo il sogno ricorrente di essere un uccello e di gridare, ma nessuno mi sentiva. Lavorare con le piume è per contro un’attività molto piacevole: sono morbide, sensuali e misteriosamente belle, anche quelle meno appariscenti. Sono proprio gli uccelli più piccoli a simboleggiare la libertà e l’amore per essa, mentre quelli più imponenti rappresentano il potere. Gli uccelli sono molto più coriacei e resistenti degli esseri umani. Gli uccelli migratori, per esempio, fanno il giro di mezzo mondo sopportando tutti gli estremi climatici. Non ucciderei mai un animale per fare arte. La mia critica si rivolge contro ogni trattamento indegno o crudele e contro la falsità. Non condivido nulla con i cacciatori che uccidono per puro divertimento. Supermarkt (Supermercato), un lavoro esposto per la prima volta alla Landesgalerie Linz, si ricollega alla serie Hunde (Cani). Brandelli di volatili piumati, confezionati sottovuoto in comode vaschette, provocano un certo disagio nel nostro mondo consumistico in cui polli e pesci, convenientemente spennati, squamati e preparati, appartengono alla banalità del quotidiano. Nel supermercato accanto al mio atelier di Vienna, il reparto di cibi per cani, gatti e uccelli superava in grandezza quello degli alimenti freschi: una perversione che mi ha spinto all’azione! Nei lavori raggruppati sotto il titolo FederZeichnungen, d’altra parte, mi occupo di una cosa molto preziosa e cioè della bellezza della natura. Attirare l’attenzione sulle minacce a cui è esposta e irritare analiticamente le concezioni abituali è il poco che posso fare con la mia arte. Le mie opere iniziavano ad assumere toni più delicati, forse anche per il fatto di essermi trasferita da Vienna alla Svizzera italiana. Da sottili tubi riempiti di piume sono nate le Fingerprints (Impronte digitali), da penne e resti di piumette per i volti sono nati i Porträts (Ritratti), come Die drei Grazien (Le tre Grazie), la canuta, la bionda e la mora. Le tavole Flic-Flac si possono girare sul proprio asse e combinare a piacimento, generando una moltitudine di quadri nuovi secondo la disposizione di specifici colori (caos, ritmo, costellazione). Anche le Metamorphosen (Metamorfosi), realizzate con una serie di prismi triangolari sui quali sono state applicate piume di colori diversi e che ruotano lentamente grazie a un sistema di ruote dentate azionate da un motore elettrico, generano quadri in costante trasformazione. L’attrito delle piume provoca inoltre un fruscio che fa pensare a un essere vivente. Benché generalmente prediliga lavorare in astratto, con dei residui di piume ho realizzato alcune nature morte. Nei miei lavori cerco di visualizzare la musica, la danza, il movimento; tutti elementi che nelle nostre culture istituzionalizzate sono categoricamente divise. Una combinazione sinestetica a cui i miei libri di pelliccia di lupo, pelle di serpente o piumaggio d’uccello (otarda e fagiano argentato), accennano in maniera squisitamente poetica ed emozionale. A un simposio di Land Art a Roveredo (Grigioni italiano) ho presentato alcune installazioni all’aperto, su dei lunghi piedestalli. Zum Töten geboren (Nati per uccidere) era composta dai piumaggi di avvoltoi e aquile, combinati con artigli, becchi e pannolini. Poi c’erano Stallpflicht (Doveri della stalla) e Autobahnkadaver (Cadaveri autostradali), raccapriccianti segmenti di strada che puntavano il dito sui nostri massacri ambientali, che quasi sempre passano inosservati. Per ottenere superfici lisce, ho iniziato a usare la smerigliatrice, una decisione che dato il mio rispetto per la natura e le piume non ho certo preso a cuor leggero. Con il tempo, ho anche osato applicare pittura sopra le piume. Con la lisciatura procedo come fosse pittura, benché non abbia imparato a dipingere. Non sono pittrice, artista plastica né scultrice, e non si può nemmeno dire che mi occupi essenzialmente di installazioni. Dare una definizione ai miei lavori non mi compete: a me interessa l’arte, non la classificazione. Tutto quello che faccio nasce dalle mie emozioni e sensazioni.

Nel mio libro Perplex (2014, W&H Media Verlag, Vienna) ho documentato per la prima volta il prodotto di trent’anni di attività artistica, attività che per quanto mi riguarda è molto diretta, frutto di una grande concentrazione emotiva. Non ho l’abitudine di fare schizzi preparatori. L’ispirazione mi viene strada facendo, quando viaggio o quando cammino nella natura. Del resto, quel che succede durante il processo creativo è difficilmente spiegabile. Non voglio essere classificata come autrice di arte femminile, benché riconosca che noi donne funzioniamo diversamente nel lato inconscio. Fin da bambina, non potevo immaginarmi un’altra vita se non quella di artista. Lavorare costruttivamente con le mie mani è sempre stato importante per me. Ecco perché riesco a spiegarmi le impronte di mani presenti nelle più antiche pitture cavernicole: è come se già allora si volesse dare espressione all’unicità delle impronte digitali. Eppure, a casa mia l’arte non è mai stata un tema. La mia vita avrebbe dovuto svolgersi secondo il classico schema “matrimonio-maternità”. E invece, sono riuscita a ritagliarmi uno spazio per avvicinarmi a quello che, in barba a tutte le difficoltà, mi terrà occupata per il resto della mia vita. Continuano ad aprirsi nuove porte ed è questo che conta. È questo il bello dell’arte. L’oggetto di una creazione può sempre essere visto come qualcosa di nuovo. Le creazioni dell’umanità ci ricordano costantemente che tutti dovrebbero avere l’opportunità di realizzarsi nella vita sviluppando positivamente le proprie capacità, e non dico necessariamente nelle arti. Quando lavoro, io sono felice.

Christian Reder, nato a Budapest nel 1944, vive a Vienna. Autore di numerosi saggi su arte, architettura, cultura e storia contemporanea. Professore emerito e fino al 2012 direttore del Centro per il transfer artistico e scientifico, da lui stesso fondato, presso l’Università di arti applicate di Vienna. Martina Knecht, nata a Locarno nel 1979. Diplomata in visual design e illustrazione a Milano; laureata in interpretariato, traduzione e mediazione linguistica a Mantova. Dal 2005 communication designer indipendente specializzata in arte e architettura; dal 2015 guida museale alla Ghisla Art Collection. John Kenneth Galbraith, L’economia della truffa, New York 2004, Milano 2004/2009 Christian Reder, Forschende Denkweisen. Essays zu künstlerischem Arbeiten, Vienna/New York 2004

MAK Vienna MAK Vienna MAK Vienna MAK Vienna MAK Vienna MAK Vienna MAK Vienna MAK Vienna books Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder FederbilderFederbilder Federbilder Federbilder Federbilder Federbilder books books books books Barbarenkunst Barbarenkunst Barbarenkunst Barbarenkunst Barbarenkunst books Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke Pferdestärke